Nella nebbiosa regione della Desària, al confine tra un boschetto di faggi e la brughiera, viveva un mugnaio di nome Mèltir.
Un giorno, mentre il mulino stava lavorando alacremente, all’uomo parve di udire un miagolio disperato, e così uscì dalla rumorosa stanza della macina e si guardò intorno: udì nuovamente quel piagnucolio e lo seguì fino alla riva del fiume, dove vide che un gattino era finito in acqua e rischiava di essere stritolato dagli ingranaggi del mulino. Allora il mugnaio rientrò e bloccò le pale, poi si immerse nel fiume e salvò il felino, che era nero come la notte e inzuppato come una spugna. Il gatto, una volta a terra, gli soffiò con sdegno e si divincolò, fuggendo rapidamente tra gli alberi del bosco. Meltir, a parte un graffietto alla mano, si sarebbe presto scordato di quell'epidosio, se solo quel micio fosse stato un animale qualsiasi. Ma si dà il caso che non lo fosse, dato che quello era il gatto nero della Fattucchiera della Selva Nodosa. E la strega volle ricompensare Meltir del suo gesto, e donò alla macina del suo mulino il potere di trasformare non solo il grano in farina, ma anche gli impulsi delle creature viventi in... qualcos'altro!
Accadde allora che un uomo portò lì il suo vero amore per la donna che aveva sposato, e da quel sentimento il mugnaio ottenne una farina gialla come l’oro e profumata, in grado di curare tutte le ferite (anche se non riusciva ad evitare che rimanessero profonde cicatrici).
Un giorno al mulino si recarono due grandi amici, e dalla loro unione fraterna la macina spremette una limatura quasi trasparente, che poteva saldare assieme qualsiasi cosa, in maniera del tutto indissolubile.
Un nano portò tutta la sua caparbia risolutezza, da cui Meltir ottenne un succo nero e acido, che era in grado di corrodere qualsivoglia metallo, e persino la pietra più dura!
Un elfo andò al mulino con la sua attenzione per tutte le creature viventi, e dal quel rispetto la mola ricavò un sabbia simile alla terra umida, che faceva crescere fiori e piante in maniera estremamente rigogliosa ed in pochissimo tempo, meglio di qualsiasi altro concime.
Dalla forza bruta dei giganti non ottenne che un’inutile pulviscolo quasi impalpabile, ma dalla loro osservanza per la parola data creò un unguento che, in combattimento, rendeva la pelle dura come una corazza di piastre.
Dalla sincera allegria di alcuni grimi venne fuori una polvere argentata capace di ammansire gli animali, compresi quelli selvaggi e feroci, mentre dalla fedeltà dei cani uscì una cenere simile allo zolfo, in grado di bruciare anche sotto una pioggia torrenziale.
E quando, in pieno inverno, nel mulino entrò una ragazzina minuta, che era sempre gentile con tutti, la macina compì i soliti tre giri di ruota, ma dall’imbuto non uscì nulla. Però tutte le nuvole scomparvero, e la giornata divenne luminosa e solare, come se fosse stato il solstizio d’estate.
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