Kevin era disperato: a scuola tutti lo prendevano in giro perché vestiva sempre con abiti vecchi e usati, che non erano firmati.
Detestava sua mamma, nonostante lei cercasse di convincerlo che si trattava di magliette pulite e jeans in perfetto stato.
Ma lei non era in classe quando Gabriele lo scherniva per le sue cinture fuori moda, o per le calzature di una marca sconosciuta.
Anche Milena aveva riso guardando le sue scarpe da ginnastica, e l'immagine di quella risata si era impressa indelebile negli occhi di Kevin.
Doveva assolutamente avere delle scarpe AirShone, magari blu e lucide. O almeno delle Timber Mile, possibilmente con il nuovo sistema Final Pressure incorporato.
Decise di fare un giro nel negozio Shoes Look del centro commerciale, ma restò sbalordito dai prezzi dei modelli che avrebbero destato ammirazione nei suoi compagni, e soprattutto in Milena. Gabriele avrebbe trovato comunque qualcosa da ridire, ma Kevin sapeva che i fatti valgono più delle parole, e sarebbero stati dalla sua parte. Ma la realtà diceva anche i prezzi erano davvero troppo alti: lui quei soldi non li aveva, e la sua famiglia non poteva permetterseli, lo sapeva bene.
Sconsolato, uscì dal negozio e dal grande edificio, e vide una signora – con ogni probabilità una zingara – che veniva allontanata dal parcheggio in malo modo, da quella che era chiaramente la guardia giurata del centro commerciale. Accanto alla donna, che aveva provato a chiedere l’elemosina vicino alle porte automatiche del centro, c'erano due bambini, e Kevin notò che il più grande non aveva neppure le scarpe. Certo, la stagione non era freddissima, nè tanto meno bollente, ma comunque non doveva essere molto piacevole camminare a piedi nudi sull'asfalto. A parte il rischio di farsi male, la strada era come minimo lurida.
Kevin si fermò, restando immobile nel via vai della gente che lo scansava, a guardare quella madre e quei bimbi sconosciuti che venivano strattonati dal tizio corpulento in divisa. Quei piedi piccoli e sporchi lo colpirono, e il fatto che Kevin si trovasse lì perché voleva cambiare le sue scarpe – in buono stato ma non di marca - rendeva quell'immagine ancora più vivida.
Per distrarsi decise di andare a dare un'occhiata al mercatino che avevano allestito da qualche giorno lì vicino, sotto a un grande tendone bianco.
Si trattava per lo più di banchetti di botteghe artigianali: orecchini di rame fatti a mano, spille di feltro, vestiti sud-americani, vecchi dischi in vinile, fatine e gnomi di terracotta, animaletti di pezza, lo stand di un canile, gli alpini con le castagne e il vin brulé.
Kevin annusò volentieri quel buon aroma di spezie, poi si voltò e vide una bancarella che prima non aveva notato: era un'associazione che raccoglieva fondi per degli ospedali in africa e per lo sminamento di alcune aree del Medio Oriente. In particolare Kevin guardò le fotografie dei feriti da mina, e tra questi notò un ragazzino di colore, a cui era stato amputato un piede: si vedeva chiaramente la protesi metallica, dal ginocchio in giù, mentre il ragazzo - all'incirca della sua età - rideva e scherzava con alcuni suoi coetanei, ospiti come lui della stessa struttura ospedaliera.
Kevin decise che, con una scusa qualunque, avrebbe portato qui Milena: era una tipa sveglia, non ci sarebbe stato bisogno di spiegarle nulla.
Di quello che pensava Gabriele, invece, e delle sue scarpe firmate, non gli importava più niente.
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