C’era una volta un ragazzino magro con i capelli rossicci, di nome Alderico. Alderico viveva in una famiglia molto povera e, tutti i pomeriggi, lavorava in un negozio di mobili per permettere ai propri genitori di comprargli i quaderni, le penne, i libri, insomma tutto ciò che gli serviva per la scuola. Alderico spolverava tutti i mobili di questo immenso negozio, che si trovava proprio in fondo alla strada di casa. E non si trattava di un negozio moderno, anzi: era una bottega buia, umida e vecchia, estremamente polverosa, piena di ragni e falene, e una volta gli era sembrato persino di sentire lo squittio di un topo.
Fatto sta che in quelle sale tetre la polvere si riformava inspiegabilmente ogni giorno. E non si trattava mica di un normale, lieve velo di pulviscolo: no no, era proprio un grosso strato di polvere grigia, di quelli che, se ci passi sopra il dito, ti rimane sporco come se lo avessi strisciato contro il muro fuligginoso di un camino!
E anche i mobili erano antichi e fuori moda, di legno massiccio e pesante, tutti tarlati, graffiati e sbilenchi.
Insomma, non c’era da stupirsi che il negozio fosse quasi sempre vuoto.
Un giorno però in questa bottega accadde una cosa strana: era un pomeriggio particolarmente buio e il ragazzo scostò una tenda - che di solito non toccava - per far entrare almeno un filo di luce. Il chiarore entrò nella stanza e andò ad illuminare un mobile, che Alderico non aveva mai notato prima: si trattava di un tavolo liscio come il mare ghiacciato, basso, e con quattro gambe larghe e sottili. Il bagliore del tramonto illuminò proprio la superficie dell'asse, su cui si rifletté il viso di una ragazza, pressappoco della stessa età di Alderico. Lui alzò lo sguardo, perché pensava che la ragazzina sconosciuta fosse dietro la finestrella oltre la tenda, eppure lì non c’era nessuno.
Allora guardò meglio, eppure il riflesso della ragazzina era ancora lì! E tuttavia non c’era nessuno nelle vicinanze che potesse causare quell’immagine. La sconosciuta teneva un filo d’erba tra le labbra e aveva un’espressione triste, come se aspettasse qualcuno che è sempre in ritardo. O, peggio, che non arriva mai.
Quando, per osservare meglio, Alderico passò lo straccio sul tavolo per rimuovere la polvere, anche il riflesso della ragazza scomparve. Provò a riguardare la superficie di legno da tutte le angolazioni, ma non la vide più. Deluso, finì il lavoro e tornò a casa, senza parlarne con nessuno.
Eppure, il giorno dopo accadde nuovamente la stessa cosa: il riflesso si mostrò quando Alderico aprì la finestra, e scomparve quando pulì il tavolo.
Il terzo giorno restò a lungo ad osservare la ragazzina, che aveva dei lunghi capelli ricci, probabilmente biondi, ma il marrone del legno non aiutava a comprendere appieno i colori. Questa volta la ragazzina aveva in mano un bastoncino e giocava con qualcosa vicino ai propri piedi, eppure sembrava un po’ annoiata. Alderico in quell’occasione aveva deciso di non pulire il tavolo, ma poi arrivò il padrone della bottega che lo sgridò perché doveva ancora finire il lavoro e restava quell’ultimo mobile da spolverare, così anche quella volta fece scomparire il riflesso.
Il quarto e il quinto giorno il cielo era così scuro, denso di nubi nere cariche di pioggia, che non riuscì a vedere nessun riflesso.
Comunque, ormai una cosa era chiara: quello era un tavolo magico.
Il sesto giorno accadde un altro evento bizzarro: Alderico era arrivato da poco e aveva appena iniziato a lavorare quando un gatto entrò nella bottega. Era un micio nero, magro come la fame, che si mise a ciondolare qua e là con pigrizia, annusando i vecchi mobili con dignitoso disinteresse, eppure sembrava sempre guardare Alderico con la coda degli occhi, verdi come smeraldi. Il vecchio padrone, che non sopportava gli animali, non aveva visto entrare il felino, altrimenti lo avrebbe già cacciato fuori, ma Alderico si ricordò che tutti i giorni un contadino portava mezzo litro di latte fresco, e così il ragazzo sgattaiolò in cucina - la casa del padrone era separata dalla bottega solo da una porticina, che comunque era sempre aperta - a prendere una piccola ciotola, in cui mise un filo di latte. Quando Alderico tornò nel negozio, però, il gatto non c’era più. Tra i mobili impolverati si potevano scorgere chiaramente le sue impronte: il felino era salito su una cassettiera, poi era saltato su una sedia, da lì era balzato in alto su un armadio, poi era sceso su un comò, e infine le orme portavano proprio al tavolo liscio e lì scomparivano, nel suo centro esatto. Lì, dove Alderico aveva visto per ben tre volte il riflesso della ragazzina.
Forse il gatto era saltato via, ma dov’era finito? E perché le sue tracce sembravano svanite nel nulla? Poi, uno scorcio di sole si insinuò dalla finestrella e Alderico vide la ragazzina, che questa volta stava abbozzando un lieve sorriso, mentre accarezzava un gatto nero!
Pareva quasi che il micio fosse riuscito a raggiungere la ragazza sconosciuta. Ma allora – pensò Alderico – se ce l’ha fatta il gatto, posso farcela anch’io. Si guardò intorno, ma il vecchio non era nelle vicinanze. Allora il ragazzo salì in piedi sul tavolo, si avvicinò al centro e…
Alderico si ritrovò in un campo di erba alta e profumata, sotto un sole pallido, e udiva lo scorrere di un ruscello. A pochi passi, la ragazza teneva in braccio il gatto ed entrambi fissavano Alderico: il felino sembrava rilassato e fiero, mentre la ragazzina pareva lievemente più intimorita, ma anche curiosa; aveva dei lunghi capelli biondi e ricci, e indossava una piccola corona di margherite.
“Ciao, chi sei?” gli chiese con voce pacata.
“Mi chiamo Alderico. E tu?”
“Io sono Alena. Come sei arrivato qui?”
“Non lo so. Credo attraverso un tavolo… ma dove siamo, esattamente?” e il ragazzo si guardò attorno.
“Nel mio mondo. Ma qui va tutto male: i miei genitori sono morti in guerra, ora vivo con una vicina di casa cattiva che mi tratta sempre male. E allora vengo qui, al torrente, dove c'è questo bellissimo albero, che mi rende un po’ meno triste”.
Alderico osservò le fronde che pendevano accanto a loro, le seguì con lo sguardo e sollevò il capo: proprio accanto ad Alena vide una quercia maestosa e capì che quella meravigliosa pianta aveva qualcosa a che fare con il tavolo magico della bottega.
In lontananza si sentì qualcuno che gridava, e Alena chinò il capo:
”Devo rientrare, mi chiamano…”
Alderico ebbe solo un brevissimo istante di esitazione, poi le chiese:
“Vuoi venire via con me? Se sono… anzi, se siamo riusciti ad arrivare fino qui” disse indicando anche il gatto, che Alena stava posando sul terreno “ci sarà anche un modo per tornare indietro!”
Il gatto dagli occhi di smeraldo sembrò comprendere subito le parole del ragazzo, e fece qualche rapido balzo verso il fiume, saltò su una pietra e poi si lanciò verso l’acqua, proprio dove si immergevano le nodose radici della quercia: un istante prima di sfiorare il fiume, il gatto scomparve!
Alena guardò il ruscello, poi Alderico. Lei non ebbe alcun dubbio:
“Va bene” gli rispose semplicemente.
I due ragazzi si presero per mano e si portarono sulla riva del ruscello, sopra le grosse radici della pianta, poi si fissarono per un attimo infine chiusero gli occhi e saltarono in avanti, nel torrente.
Quando riaprirono gli occhi, erano nella vecchia e polverosa bottega di mobili. Mentre Alena si guardava in giro, il gatto uscì dal negozio ciondolando tranquillo, senza voltarsi indietro. Alderico controllò che il padrone non fosse nelle vicinanze, poi si voltò quando sentì un mormorio di stupore della ragazza: Alena si era portata una mano tra i capelli e aveva scoperto che la sua corona di margherite era diventata un diadema di fili d’oro e d’argento intrecciati.
E fu così che Alena andò a vivere con la famiglia di Alderico, il quale non dovette più lavorare nella vecchia bottega di mobili, perché ora non erano più poveri. Ci ritornarono solo un’ultima volta: per comprare il tavolo magico, che è ancora nel loro salotto di casa.
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