Il possente generale stava ritto sul campo di battaglia, con l’asta della bandiera ben salda nella mano mancina, mentre la destra stringeva l’elsa della spada, ancora grondante di sangue nemico. Il vento carico di morte percuoteva il vessillo, facendo ondeggiare il leone d’oro su sfondo rosso, mentre il sole al tramonto sembrava affondare i denti direttamente del terreno, per assorbire il colore vermiglio. I soldati del generale, anche quelli esausti o feriti, lo guardavano con un orgoglio e un’ammirazione indiscutibili: era stato lui a difendere l’Impero, portandoli alla vittoria in questa battaglia. Il suo coraggio li aveva spronati, la sua intelligenza tattica li aveva avvantaggiati nello scontro, la sua esperienza si era dimostrata fondamentale.
Solamente i soldati morenti, su cui stava calando l’oblio della morte, non riuscivano a contemplarlo con la venerazione che gli era dovuta, nonostante lui ora mormorasse parole di pietà e conforto, mentre percorreva la distesa calpestata portando il proprio aiuto, come il più umile degli scudieri.
La ragazza era giovane e bella, ma non era questo a infiammare il cuore dei suoi uomini: era il suo ardore, la sua voglia di libertà e di giustizia, il suo modo di evocare e trasmettere questi bisogni urgenti e perentori. La sua voce giungeva limpida e cristallina fin nei recessi del bosco, nelle grotte, oltre il frastuono dei combattimenti: ovunque ci fosse bisogno di incitamento, fiducia, speranza e onore. Aveva portato i suoi giovanissimi compagni a vittorie prodigiose e inaspettate, contro nemici più numerosi, meglio equipaggiati e più avvezzi alla guerra. La forza della verità, che riecheggiava nelle sue parole come l’onda di un mare in tempesta, fortificava il valore di ciascun combattente, ottenendo il meglio da ciascuno di essi. Se la libertà non era più un sogno irraggiungibile, bensì una speranza concreta e a portata di mano, lo si doveva sì ai molti martiri, caduti sull’impervia strada dell’indipendenza, ma anche e soprattutto lei, che li incitava e proteggeva, con l’istinto di una giovane madre e il furore di chi è umiliato e sa di essere nel giusto.
Il generale Markus detestava la “pulzella del Daloran”: era solo una galeotta priva di istruzione che faceva presa sulle menti semplici e ingenue dei contadini, spingendoli verso una serie di inutili massacri. I ribelli si rivoltavano contro la mano che li proteggeva da pericoli ben peggiori, come i predoni e gli orchi, ma loro erano troppo sciocchi per capirlo e ignoranti per saperlo. L’Impero era il luogo della perfezione e dell’ordine, dove le scienze avevano raggiunto i massimi livelli e la miseria era stata debellata: nessuno più soffriva la fame, nell’Impero Krannor!
Il compito di Markus, qui, nel profondo nord, era quello di ripristinare l’equilibrio e la giustizia. E, per Ruach, ci sarebbe riuscito, a qualsiasi costo!
Isabella era cresciuta nella povertà, ma aveva ben conosciuto l’opulente ricchezza dei nobili, che hanno tutti i privilegi senza avere alcun merito, se non quello di essere nati all’interno di un confortevole maniero. I braccianti si spaccavano la schiena per coltivare la terra, ma tutte le floride abbondanze delle campagne finivano sui banchetti di abati, duchi e regine, mentre chi lavorava da mattina a sera doveva accontentarsi dei loro avanzi. Ma le cose sarebbero presto cambiate: ora il popolo del Daloran non era più prono, diviso e asservito, bensì forte e unito, e avrebbe presto conquistato la propria indipendenza. Il servo dei loro tiranni, Markus il Cane, non sarebbe riuscito a piegarli.
Anche se - Isabella lo sapeva - tutto questo aveva un prezzo da pagare: avevano già pianto per i primi martiri e altri ne sarebbero arrivati, prima della vittoria finale.
Alastor, Lorek e Dharima non conoscevano né l’Impero né avevano mai visto Krannor, la sua capitale. Non sapevano che la regione dove erano nati - sulle colorate mappe imperiali - avesse il nome di “Daloran”, e che fosse una penisola attorniata dal mare. Non avevano mai visto il generale Markus né la giovane Isabella, e non avevamo mai sentito parlare della Battaglia di Pietraguzza, né della nuova alleanza dei ribelli con gli elfi. Conoscevano i giganti solo per averli sentiti nei racconti davanti al focolare, e non potevano sapere quanto fossero possenti e temibili in battaglia. Non sapevano che il generale aveva fatto giungere in segreto dal sud un reggimento di balestrieri, né che l’acqua del pozzo di Landamar era stata avvelenata dai contadini in fuga.
Ma ora Alastor era morto con una freccia nel petto mentre raccoglieva la legna, Lorek osservava i resti della propria fattoria domandandosi come avrebbe superato i rigori dell’inverno, e Dharima aveva perso tutta la propria famiglia mentre cercava di fuggire alla violenza delle razzie. Che vincesse il generale o la ragazza, per loro non faceva alcuna differenza.
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